Eccoci di nuovo qui, a scrivere parole che forse hanno poco valore. Che probabilmente muoiono nella stessa frazione di secondo in cui vengono generate dalla mia mente. Che sicuramente resteranno semplici, a volte forti o scomode lettere, messe insieme in un testo che può o meno generare un’emozione a chi le sta leggendo. Ed è proprio qui che vorrei arrivare: far nascere un’emozione, rendere consapevoli, creare una curiosità in chi, come molti di noi, tende all’accondiscendenza dell’informazione mediatica di oggi, piuttosto che alla creazione di un’opinione propria. Mi capita sempre più spesso di confrontarmi con persone che hanno una forte opinione di come va il mondo, che hanno un’opinione sulla vita degli altri, che hanno un’opinione su tutto, tranne che su se stessi. È quasi sarcastico il mondo di oggi: abbiamo a disposizione la fonte di informazioni più ampia e gratuita che sia mai stata disponibile nella società che conosciamo, eppure è sufficiente un minuto di telegiornale, un post sui social, una parola al bar del Paese, per far nascere una presa di posizione, sociale o politica che sia, senza alcun fondamento.
Non accendo il televisore da ormai due anni. Non guardo un telegiornale da ormai due anni. E sì, sono sopravvissuta lo stesso e ho comunque una mia opinione su come stanno andando le cose là fuori. Magari non su tutto, ma sicuramente su ciò che reputo importante. Sono una persona curiosa, sono una persona che prima di farsi un’idea e condividerla con chi ha intorno, cerca fonti affidabili, persone che sanno ciò di cui stanno parlando, professionisti o appassionati della verità.
Quello che sta accadendo in questi giorni nei Paesi arabi è qualcosa che è iniziato molto tempo fa. Ai tempi della seconda guerra mondiale. Ma che dico? È iniziato tutto molto tempo prima.
Questo week end mi sono ritagliata del tempo per fare qualcosa che mi rendesse in qualche modo consapevole di ciò che sta accadendo nel mondo, che mi rendesse in qualche modo cosciente di una situazione a me ancora poco chiara: il conflitto Israelo-Palestinese. Le informazioni che troverete in questo articolo – per quanto semplicistiche – sono il frutto di una ricerca ma in gran parte derivano dall’attento ascolto di un docente di storia che mi ha davvero aperto gli occhi. Alla fine lascerò un video di approfondimento per chiunque voglia saperne di più e farsi una propria opinione al riguardo.
Conflitto Israelo-Palestinese: le basi
Non credo abbia molto senso prendere una parte oppure l’altra, ma ha piuttosto senso chiedersi: c’è davvero umanità in questo mondo?
Lungi da me voler tenere una lezione di storia. Quello che ho capito, quello che ho studiato lo riporto di seguito.
Tutto ha inizio, in un certo senso, alla fine della prima guerra mondiale. Ma le radici affondano nei secoli precedenti. Ma partiamo da qui.
Durante la prima guerra mondiale, Balfour, un ministro del governo inglese, esprimeva il sostegno del governo britannico all’idea di stabilire “uno stato nazionale per il popolo ebraico” in Palestina, senza pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina. Al contempo veniva “promesso” uno stato arabo per i palestinesi nello stesso territorio. Gli inglesi infatti avevano colonizzato queste aree.
La parte gialla è il protettorato inglese dove vivevano palestinesi. In arancione sono gli insediamenti ebraici.
Iniziano i primi scontri a causa del fatto che gli inglesi non stavano mantenendo la loro promessa.
Conflitto Israelo-Palestinese: la partizione dell’ONU
Scoppia la seconda guerra mondiale: milioni di ebrei vengono deportati in Germania. Il resto è storia.
Gli arabi nella seconda guerra mondiale appoggiano i nazisti. Tralasciando la triste storia che riguarda questi anni, proseguiamo verso ciò che stiamo analizzando.
Finisce la guerra mondiale ed è necessario risolvere la questione ebraica. L’ONU, su richiesta degli inglesi, deve occuparsi della situazione. Di seguito la mappa del Piano di partizione dell’Onu per la Palestina, adottato il 29 novembre 1947. È evidente come Israele (parte arancione) abbia più del 50% del territorio rispetto alla Palestina (parte gialla). Il territorio proposto per lo stato ebraico era più ampio (56% del totale) anche se gran parte era occupato dal deserto del Negev. Questa decisione dell’ONU teneva conto della possibile massiccia immigrazione degli ebrei europei sfuggiti all’Olocausto. La regione costiera fertile sarebbe stata principalmente assegnata allo stato ebraico, rappresentando l’80% delle terre coltivabili e il 40% dell’industria della Palestina.
È chiaro che gli arabi non fossero soddisfatti di questa spartizione oltre il fatto che rifiutavano lo stato ebraico, motivo per cui i palestinesi rifiutarono. Tutto ciò diede inizio ad una serie di guerre arabo-israeliane. Questo contesto storico è fondamentale per capire le radici del conflitto israelo-palestinese. I Paesi arabi erano in contrasto con la nascita di una stato per gli ebrei, iniziano quindi le prime sommosse tuttavia gli ebrei, appoggiati dall’Unione Sovietica, dall’Europa e dagli USA, riescono a sconfiggere gli stati arabi attorno.
Israele, che invece accettò la spartizione, fu proclamato uno stato indipendente il 14 maggio 1948. I palestinesi risiedenti in questi territori, vengono quindi espulsi nei territori circostanti (Giordania, nord, ecc…). Di seguito il risultato nel ’49.
Lo Stato della Palestina, nonostante le promesse, non nasce.
Nel 1964 è stata fondata l’OLP, che sta per Organizzazione per la Liberazione della Palestina, fondata da Yasser Arafat. Un movimento laico, fondato con l’obiettivo dichiarato di rappresentare il popolo palestinese nella sua lotta per l’autodeterminazione e per l’istituzione di uno stato palestinese indipendente.
L’OLP è stata fondata in risposta alla situazione dei rifugiati palestinesi e alla perdita di territori palestinesi durante il conflitto arabo-israeliano del 1948. La sua creazione è stata influenzata dalla necessità di un’organizzazione che potesse coordinare gli sforzi palestinesi su scala internazionale. Si insediano nel Libano e in altri territori.
Nel ’67 gli Stati arabi (Egitto, Siria e Giordania) riprovano a liberare la Palestina – guerra dei sei giorni – contro Israele, ma perdono nuovamente. Israele in questa guerra riesce ed espandersi nel monte Sinai e in territori della Siria, della Cisgiordania, della Striscia di Gaza. Altri palestinesi vengono espulsi verso la Giordania.
Nasce il gruppo palestinese “Settembre Nero” noto per essere stato coinvolto in numerosi attacchi terroristici, dirottamenti di aerei e altri atti violenti negli anni ’70.
Il momento più noto associato al Settembre Nero è stato durante le Olimpiadi estive del 1972 a Monaco di Baviera. Il gruppo fece irruzione nel villaggio olimpico, catturando e successivamente uccidendo 11 membri della squadra olimpica israeliana.
Il Settembre Nero era collegato all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), ma il leader dell’OLP, Yasser Arafat, ha negato il coinvolgimento diretto e ha condannato l’azione. L’OLP in seguito ha preso misure per allontanarsi dal Settembre Nero.
Dal ’70 in poi la rivolta contro Israele prosegue. Nel 1973 si è verificata la Guerra del Kippur, anche conosciuta come Guerra del Ramadan o Guerra del Giorno dell’Espiazione. Questo conflitto coinvolse principalmente Israele, il quale fu attaccato simultaneamente da Egitto e Siria il 6 ottobre 1973. “Israele forse non è invincibile“.
Dopo gli anni ’70 la situazione continuò ad essere tesa fino agli anni ’90, periodo in cui Israele e l’OLP firmarono gli Accordi di Oslo, che portarono al riconoscimento reciproco e all’inizio di un processo di pace. Gli accordi prevedevano la creazione di un’autonomia palestinese limitata.
Negli anni 2000, la situazione tra Israele e Palestina è stata caratterizzata da una serie di eventi significativi, con il culmine della Seconda Intifada – o rivolta se vogliamo – e una serie di sviluppi politici e militari che hanno plasmato il contesto della regione.
La Seconda Intifada che ebbe inizio nel 2000, fu un periodo di intensificazione delle tensioni. Le violenze includevano attacchi terroristici palestinesi, come attentati suicidi, e risposte militari israeliane. Questo periodo vide un notevole aumento della violenza e delle perdite umane da entrambe le parti.
Nel 2005, Israele intraprese un atto significativo ritirandosi unilateralmente dalla Striscia di Gaza. Gli insediamenti furono evacuati e le forze israeliane si ritirarono. Questa mossa, pur mirata a migliorare la sicurezza di Israele, portò a complessità politiche e sociali sia in Israele che nella Striscia di Gaza.
Hamas e Israele
Tornando a noi: parliamo di Hamas.
Nel 2006, Hamas ha ottenuto una significativa vittoria nelle elezioni parlamentari palestinesi. La comunità internazionale ha spesso classificato Hamas come un’organizzazione terroristica. Ha avuto inizio nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. L’obiettivo di Hamas è quindi quello di riappropriarsi del territorio palestinese e quindi di sconfiggere Israele e gli ebrei. Hamas non riconosce lo stato di Israele. Lo stato di Israele allo stesso tempo non riconosce Hamas ma lo considera un’organizzazione terroristica.
Hamas, acronimo di Harakat al-Muqawama al-Islamiyya, di cui sentiamo spesso parlare in questi giorni, è un’organizzazione palestinese fondata nel 1987 durante la prima intifada contro l’occupazione israeliana.
Ma torniamo a noi. Israele è potente: è appoggiato dalle grandi potenze come gli Stati Uniti.
Hamas invece viene supportato dagli alleati – gruppi islamisti e jihadisti fondamentalisti che odiano gli ebrei – quali Iran, Turchia, parte dell’Egitto, Qatar. Sì. è piuttosto complicata la situazione.
Se vuoi approfondire di seguito il primo capitolo di una spiegazione davvero esaustiva del docente Matteo Saudino a cui devo gran parte delle informazioni sopra riportate per comprendere il conflitto.
Cosa succederà quindi?
Le supposizioni sul futuro
Indagando e analizzando il pensiero di storici e analisti della situazione, ciò che si evince è che Israele è potente. Gaza non ha la stessa potenza. Ciò che ci aspetta è probabilmente una vittoria e un’espansione di Israele verso i territori Palestinesi e una riduzione della striscia di Gaza. Ma non si tratta di chi sta dalla parte dei Palestinesi e di chi sta dalla parte di Israele, come spesso invece vogliono farci pensare i media. Si tratta piuttosto di comprendere una situazione drammatica fatta di scontri, morte di civili innocenti ed espropriazione di territori che è difficile immaginare.
Spero che queste mie poche parole in qualche modo abbiano suscitato in te la curiosità di comprendere ciò che sta succedendo, di approfondire prima di condividere un post qualsiasi sui social o di diffondere una frase o un aforisma davvero poco utile in queste circostanze. Di comprendere che ci sono persone, bambini, che stanno morendo, che vengono privati della propria libertà, della propria vita, della propria casa. Come in ogni guerra ogni attore fa la sua parte. Non ci sono parti da tenere a mio avviso in questa battaglia, ci sono solo azioni da intraprendere per fermare un assedio che nel 2023 non può passare inosservato e non ha giustificazioni valide per esistere.